La commedia italiana è sempre stato un genere poco classificabile. A partire dagli anni Sessanta con i classici, passando poi per i cult “caciaroni” degli anni Settanta, i cinepanettoni dagli Ottanta in poi e le rivelazioni di attori registi come Verdone e Pieraccioni, le commedie hanno costituito un continuum di successi e risate. Negli ultimi vent’anni, grazie a una nuova generazioni di autori e attori brillanti, produzioni coraggiose e, perché no, finanziamenti importanti, il genere si è ulteriormente rinnovato.
Tra i film meglio riusciti c’è senza dubbio Smetto quando voglio, piccola grande perla di Sydney Sibilia. È quasi una commedia d’azione, energica sia nella performance degli attori che nel ritmo serrato della sceneggiatura, con un susseguirsi veloce di eventi esilaranti e inaspettati.
La storia parte da una considerazione amara, ovvero l’impossibilità di trovare il proprio posto in una società cattiva, corrotta e che non sa riconoscere il merito degli individui. Da qui parte una scalata verso un riscatto improvviso e inaspettato, scaltro e geniale, così come pericoloso e che porterà a inevitabili conseguenze per tutti i protagonisti.
D’altronde, se si mettono insieme un gruppo di cervelli, espertissimi nelle rispettive specializzazioni, ex ricercatori universitari con le menti ancora allenate a trovare le soluzioni anche a problemi complicati, cosa ci vuole a fabbricare una droga sintetica non schedata, e quindi ancora nei limiti della legalità?
Soggetto e sceneggiatura
Il motore dell’intera vicenda è Pietro (Edoardo Leo), un ricercatore che vede definitivamente tramontare le sue speranze di accesso a una cattedra. Pietro coinvolge, a uno a uno, gli altri protagonisti, tra cui uno strepitoso Stefano Fresi (Alberto), chimico intelligentissimo che lavora come lavapiatti, Libero de Rienzo (Bartolomeo), matematico dalle frequentazioni poco raccomandabili e Pietro Sermonti (Andrea), antropologo di fama internazionale che, per trovare posto come aiutante presso uno sfasciacarrozze, è disposto a rinnegare la sua laurea.
La situazione, apparentemente paradossale, è gestita da Sibilia in modo impeccabile: tutti i pezzi di questa commedia trovano un’abile collocazione e la visione è talmente piacevole e priva di rallentamenti, che, quando arriva l’inevitabile conclusione, è quasi un peccato mettere la parola “fine” a tanto divertimento. Forse è per questo che il film ha avuto non uno, ma ben due sequel.
Una menzione a parte merita la fotografia, dominata da un inquietante verde acido e colori saturi per sottolineare il “trip” dei protagonisti. Tra le scene migliori, la discussione in latino dei due aiutanti benzinai abusivi, che, tra un pieno e l’altro, disquisiscono di filologia come se si trovassero nell’aula magna dell’università.