Borotalco (1982)

Borotalco è stato un film di successo dei primi anni Ottanta, con al centro Carlo Verdone come attore, regista e autore.

A distanza di quasi quarant’anni, è ancora una delle pellicole di genere più amate dal pubblico. Perché è diventato un film cult e quasi “immortale”?

Come sempre, le ricette migliori sono quelle che utilizzano ingredienti eccellenti. Ma non basta: nel cinema serve quel pizzico di magia in più, per creare un piccolo capolavoro.

Soggetto e sceneggiatura

Affidata allo stesso Verdone e al grande Enrico Oldoini, la sceneggiatura del film racconta la storia di un incontro che potrebbe cambiare la vita, ma che poi rimane solo una fantastica parentesi romantica e avventurosa, ricca di potenzialità inespresse, ma non per questo meno indimenticabili. I dialoghi sono sempre brillanti e cuciti addosso ai personaggi in modo impeccabile. Si ride molto, si sorride, a volte si riflette.

Molte delle migliori battute del film, ovvero i cosiddetti “one liner”, sono entrati nel linguaggio comune. Sfidiamo chiunque a cui viene chiesto un parere sulle olive a non rispondere “E come so’?… So’ greche!” E quel “cargo battente bandiera liberiana” è ancor oggi sinonimo di libertà e allegra sbruffoneria con la quale si vuole impressionare il prossimo, ma, più che altro uscire da se stessi diventando, anche se solo per un attimo, l’eroe di turno.

Gli interpreti

Grandi amici e ottimi professionisti: Carlo Verdone si circonda di attori che si uniscono a lui in questa colorata avventura. L’amico di sempre, nonché cognato affettuoso, Christian De Sica può dar sfogo a tutta la sua verve in un mitico e improbabile numero alla Broadway nella stanza del dormitorio del preti, così lontana dai palcoscenici newyorkesi, vero miraggio per un ragazzo romano di provincia.

Ma la leggerezza, da qui il titolo “impalpabile” del film, può regalare emozioni anche all’impacciato Sergio (Verdone), che si libera dalla vendita di pesanti enciclopedie per diventare l’avventuriero che affascina la deliziosa Nadia (Eleonora Giorgi), adolescenziale quasi in tutto, dalla passione per la musica di Lucio Dalla alla condivisione di opinioni con le amiche sulla sessualità degli attori hollywoodiani.

Mario Brega è perfetto nella parte del suocero invadente e autoritario, Roberta Manfredi si cala nei panni di una quasi moglie già noiosa e per niente fiduciosa delle doti del futuro marito, mentre l’indimenticato Angelo Infanti fa sfoggio di tutto il suo fascino, e, con involontario altruismo, è l’artefice di un’irresistibile catena di equivoci.

La musica

Se Lucio Dalla è l’oggetto del desiderio della protagonista femminile, ma la sua presenza è solo intuita, rimanendo efficacemente nella sfera del mito intoccabile, la musica del compianto cantautore è invece tangibile e presente, insieme a storici brani della sua band.

Abbandonando il cliché dei commenti sonori ridicoli e buffi, le canzoni che accompagnano il film hanno scritto un piccolo pezzo della storia della musica italiana, da “Cara” e “L’ultima luna” (Dalla) a “Grande figlio di puttana” e “Chi te l’ha detto” (Stadio).


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